martedì 7 maggio 2013


Come impanare perfettamente

L'impanatura perfetta si fa cosi'!
Per mostrarvi la mia impanatura perfetta ,di sicura riuscita che da' il risultato di un fritto croccante ed asciutto ho realizzato delle crocchette di patate classiche,ma non vi daro' la ricetta,magari la rimandiamo ad un altro post,vi insegnero' soltanto la mia tecnica di impanatura.

Ingredienti per l'impanatura:
-farina
-uova
-pan grattato

Procedimento per l'impanatura:
Fare delle classiche crocchette di patate,dargli la forma che piu' si desidera,tonde o a cilindro ed iniziare con l'impanatura:passarle una volta nella farina "00" oppure mista a quella di semola se si vuole aumentare la croccantezza del fritto
passare la nostra crocchetta infarinata nell'uovo sbattuto
ripassare nel pangrattato
Friggere in olio ben caldo!
Raggiunta la doratura asciugarle in carta assorbente e servire,il risultato e' perfetto!

mercoledì 24 aprile 2013

Il lievito Madre ( o Naturale )


Il Lievito Naturale 







Una premessa
Molto probabilmente, se state cominciando a leggere queste pagine, siete interessati a fare da voi il pane. Bene. Ma non è il pane che vi insegneremo a fare bensì una cosa molto più importante: il Lievito Naturale. Base indispensabile per fare pane e non solo… Panettoni, Colombe, Pandori sono dolci che hanno bisogno del Lievito Naturale. Le ricette di tutte queste preparazioni sono in altra parte del sito.

Tuttavia faremo un rapido accenno alla lievitazione, che è il risultato primo dell’uso di un qualsiasi agente lievitante.
La lievitazione è la fase più importante del processo tecnologico che conduce alla realizzazione di un prodotto da forno. Queste fasi sono 4 e, in ordine di esecuzione, sono ordinate così: 

- l’impastamento;

- la puntata (prima fase di lievitazione che intercorre tra la fine dell’impastamento e l’inizio della fase di appretto);

- l’appretto (fase che comprende le lavorazioni successive alla puntata come le girate, il taglio, la formatura e la seconda fase di lievitazione fino al raggiungimento dell’optimum fermentativo);

- la cottura.

In queste 4 fasi avviene, in buona sostanza, il processo chimico-fisico di trasformazione degli amidi della farina in prodotti digeribili dal nostro organismo, attraverso una serie di modificazioni intermedie indotte dal processo tecnologico che, tutte insieme, hanno lo scopo di rendere la massa impastata meno densa e più sviluppata in volume. La fase finale del processo tecnologico, la cottura, conclude le modificazioni chimiche e fisiche indispensabili per l’ottenimento del prodotto da forno: con l’aumentare della temperatura prosegue l’azione degli enzimi che in seguito vengono inattivati dal calore e si verifica la morte dei lieviti, la denaturazione delle proteine, la gelatinizzazione dell’amido, l’aumento di volume della massa per effetto dell’evaporazione dei gas di fermentazione, la stabilizzazione della struttura, la differenziazione tra crosta e mollica, la colorazione della crosta, la formazione dell’aroma e, nel caso del pane, della croccantezza.

Cos’è il Lievito Naturale?
Il Lievito Naturale è un composto ottenuto dalla fermentazione spontanea di un impasto composto da farina di frumento e acqua, nel quale sono presenti microrganismi di specie diverse: in particolare lieviti del genere Saccaromiceti e batteri lattici; questi ultimi sono, in prevalenza, Lactobacilli e Streptococchi.
Questi microrganismi si riproducono alimentandosi di zuccheri semplici (il saccarosio) e, in parte, di zuccheri complessi contenuti nell’amido delle farine; zuccheri che vengono trasformati principalmente in gas (l’anidride carbonica) e, in misura minore, in alcool (l’etanolo), in acido acetico, in acido lattico, in diacetile ed in acetaldeide.
L’insieme di questa attività biologiche viene comunemente definita “fermentazione” e costituisce la parte più importante nel processo di produzione delle paste lievitate.
L’anidride carbonica prodotta induce un aumento di volume dell’impasto (tale attività è la “lievitazione” cui abbiamo fatto cenno in premessa) che viene contrastato dalla struttura glutinica della farina che, essendo elastica, si oppone all’espansione del gas di anidride carbonica, racchiudendolo all’interno degli alveoli.
Con questo processo si ottiene un impasto poroso che, durante la cottura in forno, si trasforma in prodotto morbido e soffice, conservando a lungo queste qualità che sono la caratteristica dei prodotti ottenuti con le paste lievitate.
I prodotti ottenuti dalla lavorazione con Lievito Naturale (Panettone, Colomba, Pandoro, Babà ed altri) sono inoltre caratterizzati da uno specifico e gradevole aroma apportato da particolari composti risultanti dalle fermentazioni secondarie tipiche ed esclusive del Lievito Naturale.

Gli agenti fermentanti
I microrganismi che si sviluppano nell’impasto acido producono, durante la fermentazione, sostanze che caratterizzano il sapore e l’aroma del prodotto e lo rendono più lungamente conservabile. I prodotti di fermentazione che influiscono sull’aroma sono acidi organici (l’acido acetico e l’acido lattico) e prodotti secondari quali diacetile e acetaldeide, tipici della fermentazione lattica. Dalla fermentazione dei lieviti e dei batteri lattici ha origine anche una sostanza che contribuisce a rallentare il raffermamento del prodotto: la glicerina, che funziona da emulsionante naturale ed ha anche un lieve effetto antimuffa. La microflora presente nel Lievito Madre produce anche enzimi che influenzano le qualità reologiche della farina, agendo su alcune componenti carboidratiche e proteiche. Gli enzimi prodotti sono pentosanasi, che degradano i pentosani, abbassando la viscosità dell’impasto, proteinasi e peptidasi che intervengono sulle proteine, aumentandone la frazione solubile in acqua.
I prodotti ottenuti con impasti acidi hanno però bisogno di tempi più lunghi di lavorazione affinché avvengano le modificazioni citate (20-24 ore).
Le già menzionate caratteristiche di variabilità degli impasti acidi tradizionali hanno reso particolarmente difficile la corretta identificazione dei microrganismi fermentanti.
Gli studi effettuati a tale proposito non sono molti e riguardano, in prevalenza, gli impasti usati per la preparazione di prodotti lievitati (per esempio: il Panettone…) dove sono stati individuati batteri lattici del genere Lactobacillus (e tra questi gli omofermentanti L. dèlbrueckii, L. planctarum. L. leichmanii, L. casei e gli eterofermentanti L. brevis, L. fermentum, L. pastorianus. L. buchneri; con minore frequenza sono state riscontrate specie dei generi Leuconostoc, Pediococcus e Streptococcus).
Per quanto riguarda i lieviti, il principale agente fermentativo è il Saccharomyces Cerevisiae.

La fermentazione
Gli elementi critici di un corretto processo di fermentazione sono:

- la farina;
- l’acqua necessaria all’impasto;
- la temperatura di fermentazione;
- il pH.


Quali farine impiegare?
Il tipo di farina impiegata influisce sul tempo di “maturazione” dell’impasto, cioè sul tempo necessario alla formazione dell’acidità dei composti aromatici e della struttura ottimale necessaria per l’ottenimento di un buon prodotto. Ad esempio: le farine ad alto tasso di estrazione richiedono un tempo più lungo rispetto a quelle a basso tenore di estrazione per il raggiungimento di un pH idoneo. Altro esempio: in un impasto di farina integrale, a causa dell’elevato potere tampone, lo sviluppo dei microrganismi e l’acidificazione dell’impasto procedono più lentamente rispetto agli impasti di farine normali.

L’acqua necessaria all’impasto
I tempi di fermentazione dipendono anche dalla quantità di acqua assorbita durante l’operazione di impasto: più elevata è l’idratazione, più rapida è la moltiplicazione microbica e più efficace sarà la fermentazione. Occorre sottolineare che se si impastasse con valori vicini al 100% di assorbimento, si avrebbe una eccessiva diluizione delle sostanze nutritive disponibili per i microrganismi con conseguente riduzione dell’acidificazione. La consistenza dell’impasto influisce sul rapporto tra acido lattico e acido acetico: impasti poco consistenti (maggior idratazione) favoriscono lo sviluppo dei batteri lattici (maggior contenuto di acido lattico), impasti molto consistenti (minore idratazione) favoriscono lo sviluppo dei S. Cerevisiae con prevalenza di acido acetico.

Le temperature di fermentazione
La temperatura dell’impasto è un fattore molto importante in quanto condiziona l’attività microbica e quindi l’andamento della fermentazione e il valore di pH. Il valore critico di pH, per l’attività microbica dell’impasto, è circa 4, raggiunto il quale si ha un rallentamento dell’acidificazione. Questo valore di pH si ottiene in tempi tanto minori quanto più alta è la temperatura. Temperature superiori ai 30 °C favoriscono i batteri lattici, di conseguenza si ha un aumento della produzione di acido lattico, che conferisce al prodotto un aroma indesiderato che permane nel prodotto finito, poiché l’acido lattico non evapora in fase di cottura.
Temperature attorno ai 25 °C favoriscono lo sviluppo dei lieviti che producono acido acetico.

Il pH
Il valore del pH raggiunto dall’impasto acido è estremamente importante per una buona riuscita del prodotto finale. È proprio dal grado di acidità che dipende l’attività enzimatica e di conseguenza quelle caratteristiche di grana e tessitura della mollica, di colorazione della crosta, di aroma e resistenza al raffermamento che caratterizzano il prodotto finito. Ottimale per i diversi tipi di prodotti da forno (Panettone, Colomba, Pandoro ed altri) è un pH intorno a 4,8.

Come misurare il pH?
La semplice cartina al tornasole non è sufficiente. Occorre quantomeno disporre di quelle con scala colorimetrica (si possono trovare in negozi di articoli medicali e/o in farmacie ben fornite), scegliendo un tipo che operi la misurazione in un intervallo compreso tra 3 e 8. Anche il piaccametro non è lo strumento ideale per il Lievito Madre in quanto lo strumento misura solo le punte massime di acidità e alcalinità.

Come produrre il Lievito Madre
L’elemento attivante del processo di fermentazione può essere costituito da un frutto molto maturo ricco di sostanze zuccherine (ad esempio: albicocca, mela, uva, luppolo ed altri) in forma di polpa. Altri elementi essenziali sono: acqua potabile, non troppo dura, non troppo ricca di sali minerali, con un pH intorno a 5/6, priva di odori sgradevoli, priva di cloro, con una temperatura intorno ai 20 °C - 21 °C, non bollita. Farina di grano tenero tipo “00” di una certa forza (attorno a W 380) molto equilibrata (attorno a P/L 0,55) e caratterizzata da una buona qualità del glutine.

L’impasto di base 
1. Frullare il frutto scelto con la propria buccia riducendola in forma molto fine;
2. Versare il prodotto ottenuto con una uguale quantità di acqua in un recipiente pulitissimo e di vetro, il tutto ad una temperatura del prodotto di 26 °C - 28 °C iniziali;
3. Lasciar macerare il prodotto per 24 ore in un ambiente attorno ai 21 °C. Se l’ambiente è più freddo i tempi di macerazione ideale si allungano nella proporzione di 2 ore in più per ogni grado in meno e viceversa se l’ambiente è più caldo;
4. Setacciare il prodotto liquido macerato ottenuto, eliminando le impurità più vistose. Impastare a mano il liquido setacciato con una quantità doppia di farina forte ottenendo un impasto omogeneo, asciutto e duro (se è troppo idratato è più facilmente attaccabile dalle muffe);
5. Depositare l’impasto in un bagno d’acqua di rete a temperatura non inferiore a 16 °C, in un ambiente con temperatura sui 21 °C. L’acqua, e quindi il contenitore, deve essere almeno 5 volte il peso della pasta e comunque deve permettere alla stessa di andare a fondo senza che alcuna parte rimanga fuori e che, una volta a galla, non sia chiusa dal contenitore;
6. L’impasto, entro le 48 ore, verrà a galla per effetto dell’anidride carbonica formatasi all’interno dello stesso. Se l’impasto non viene a galla in 48 ore significa che non si è sviluppata la carica batterica ottimale nel prodotto; occorre, allora, ricominciare l’operazione;
7. L’impasto venuto a galla dovrà essere pulito da eventuali croste ed essere rinfrescato con una dose di farina pari al suo peso e circa il 30-35 % del suo peso in acqua (esempio: su 1000 g di impasto venuto a galla e ripulito di eventuali croste aggiungere 1000 g di farina e 300-350 ml di acqua);
8. L’impasto così ottenuto va avvolto in un telo di cotone e legato con spago robusto, ma non troppo strettamente (ci penserà la fermentazione a tendere telo e spago) e si conserva per 24 ore in ambiente a 18 °C. Il giorno successivo si ripete l’operazione: si libera il lievito dal telo e lo si pulisce dalle croste; si pesa e si rinfresca con farina pari al suo peso e acqua a 30 °C in ragione di metà del peso. Queste operazioni si ripetono ogni giorno fino a quando la Madre non avrà raggiunto il grado di purezza richiesto. L’intero ciclo, per essere completato, richiede dai 20 ai 30 giorni.
Un altro sistema consiste nell’attivare croste di Lievito Madre secche; nel caso in cui riusciate a procurarvele, dovrete rigenerarle compiendo le seguenti operazioni:
1. spezzettare minutamente le croste, pesarle, ed aggiungere acqua tiepida a 38°C, in ragione di metà del loro peso (150 gr di croste, 75 ml di acqua) e un pizzico di zucchero:
2. Lasciarle a bagno per 24 ore senza coprirle, mescolando ogni tanto per idratarle completamente;
3. Trascorse le 24 ore pesare la poltiglia ottenuta e mescolare con eguale peso di farina forte. Se necessario aggiungere poca acqua: l’impasto deve rimanere duro;
4. Depositare l’impasto ottenuto in un bagno d’acqua a temperatura non inferiore a 16°C. L’acqua dovrà essere almeno 5 volte il volume dell’impasto (almeno due litri) in modo che il panetto sia completamente sommerso. Lasciare il contenitore in ambiente a temperatura di 21°-22°C;
5. Dopo circa tre ore l’impasto verrà a galla, per effetto dell’anidride carbonica formatasi all’interno dell’impasto stesso.

Da questo punto procedere con i rinfreschi come suggerito a partire dal punto 7 della sezione precedente. In questo caso il ciclo di produzione è più breve; va fatto un rinfresco giornaliero per almeno 4-5 giorni, dopodiché il Lievito Madre è pronto per la panificazione.

La purificazione dell’impasto base per arrivare al Lievito Madre
Per produrre la quantità di Lievito Madre necessaria per il primo impasto vero e proprio occorre che lo stesso sia purificato e lavato in ogni fase di riporto. La sequenza che segue ha lo scopo di mettere “in forza” il Lievito Madre. Per la panificazione possono essere sufficienti due rinfreschi. Per i prodotti di pasticceria (Panettone, Pandoro, Colomba, Babà ed altri) sono necessari tre rinfreschi.

Primo rinfresco
Si utilizza il Lievito Madre conservato in telo e, dopo averlo pulito dalle croste, si taglia a fette spesse e si immerge in un bagno d’acqua tiepida a 38 °C e lo si lascia per 30-45 minuti. Si preleva il lievito dal bagno d’acqua, si strizza leggermente e si impasta con una quantità di farina forte pari al suo peso e 30-35 % del suo peso di acqua a temperatura non superiore a 30 °C.
Tale impasto dovrà essere sempre, all’interno, a temperature non inferiori a 25 °C e non superiori a 30 °C, dovrà essere tenuto a lievitare per 3 ore in una camera calda o armadio termoprogrammato e comunque ad una temperatura di 30 °C e umidità del 65%. La vostra camera calda sarà il forno [spento] nel quale inserirete un pentolino metallico contenente acqua portata a bollore, da sostituire quando la temperatura arriva a scendere sotto i 25°C (ci vuole però un termometro, anche da pochi soldi...). Verrà posto su un panno di cotone all’interno di un recipiente con parte superiore scoperta e sulla quale verrà fatta la classica incisione a croce per verificare il corretto sviluppo dell’impasto. 

(Le tre foto qui accanto spiegano quest’ultima indicazione)

il panetto lievitato
Un panetto raccolto a palla ed inciso a croce, pronto per una fase di lievitazione (puntata)



La tazza ed il telo che servono per una corretta lievitazione del panetto.

Il panetto pronto per la lievitazione. Dovrà essere posto in un ambiente caldo-umido a 30 °C di temperatura e con il 65% di umidità.

Secondo rinfresco
Il prodotto ottenuto dopo le tre ore viene, anche questa volta, lavato in acqua a 38 °C (la temperatura può essere aumentata fino a 48 °C in funzione del grado di acidità da eliminare) per 30 minuti (il tempo può essere prolungato fino a 60 minuti in funzione del grado di acidità da eliminare). Il prodotto lavato viene asciugato e strizzato e nuovamente impastato con eguale peso di farina forte e 30-35 % (del suo peso) di acqua. Viene lasciato per 3 ore a 30 °C in maniera che il volume triplichi.

Terzo rinfresco Il lievito ottenuto nel 3° rinfresco (per il quale deve essere seguito il procedimento del 2° rinfresco) dovrà essere in quantità idonea per l’impasto programmato nella giornata (in funzione dei kg di prodotto da realizzare) e una parte verrà conservata e chiusa in telo per le necessità della produzione del giorno seguente e così via per gli altri giorni.
Come conservare il Lievito Madre
Il procedimento “standard”Se il lievito deve essere usato il giorno successivo la conservazione in telo può avvenire in ambiente a 18 °C. Bisognerà conservare un panetto di almeno 300 gr. che, pulito dalle eventuali croste renderà disponibile un “cuore” di 100 – 120 gr.

La conservazione in frigo
Se non si prevede di usare il lievito per più giorni la conservazione si fa a temperatura di 5 °C (frigorifero), secondo il sistema della legatura in telo. In questo secondo caso è opportuno che il panetto pesi almeno 500 gr.
Si prelevano 125 gr dall’impasto dell’ultimo rinfresco (cioè prima di aggiungere al lievito rinfrescato gli ingredienti caratteristici della ricetta che si sta eseguendo) e si impastano con 250 gr di farina forte e 125 ml di acqua. Questa operazione riduce l’attività microbica del Lievito Madre, disponendolo ad una migliore conservazione a bassa temperatura. Si lega il panetto in telo e lo si ripone in frigorifero.
Ogni 5-7 giorni è opportuno rinfrescare il lievito conservato in frigorifero secondo il seguente metodo:
- prelevarlo dal frigo e sciogliere il telo, come si vede nelle foto;


Un panetto conservato con legatura in telo di cotone. Attaccarvi un semplice foglietto serve a ricordarsi data di chiusura, peso e tipo del rinfresco.

Il panetto liberato dal telo di cotone, intero e non ancora pulito. Accanto i teli che sono serviti per la conservazione.

Il panetto come appare dopo le operazioni di pulitura. Accanto (sotto) vi sono le croste da eliminare. Le altre croste sono un esempio di croste da conservare.

- pesarlo;
- tagliarlo a fette spesse e metterlo in bagno d’acqua a 38°C (circa 2,5 litri con un cucchiaino di zucchero) per 30 minuti;

Il panetto tagliato, pronto per essere messo in bagno d'acqua.

Il panetto immerso in bagno d'acqua. Accanto, sulla punta del coltello, la quantità di zucchero necessaria all'avvio del rinfresco.


- prelevarlo dal bagno d’acqua, strizzarlo e pesarlo;
- impastarlo con egual peso di farina forte e acqua a 30°C (il 30% del peso della farina);
- rullarlo 4-5 volte. L’operazione di rullatura è descritta nelle 5 foto qui sotto);




La “rullatura”
E’ una operazione che serve ad omogeneizzare l’impasto del panetto.
Per ottenere un risultato ottimale la sequenza da 2 a 5 va ripetuta per 4-5 volte.


1 - Il panetto pronto per la rullatura.

2 - Il panetto dopo la prima passata del rullo.


3 - La prima piegatura in tre parti.

4 - Il panetto girato di 90° è pronto per il secondo passaggio del rullo.

5 - Capovolgere il panetto ed iniziare la seconda rullatura.

- pesarlo nuovamente: 125 gr, con l’aggiunta di 250 gr di farina forte e 125 ml di acqua, vengono chiusi in telo e riposti in frigo; il resto, dopo altre due rullature, viene utilizzato in giornata. Se si tratta di pane si può procedere dopo tre ore di maturazione; se si devono realizzare impasti complessi è necessario fargli prendere forza con tre rinfreschi.

La conservazione per congelamento
Il Lievito Naturale può essere conservato anche congelandolo.
Dopo aver utilizzato l’ultimo lievito, conservarne una piccola parte e metterla a bagno finché non viene a galla. Attendere un’ora dopo che il lievito è venuto a galla e porlo in frigorifero per 3-4 ore sempre a bagno d’acqua, poi inserire il lievito nel congelatore, sempre a bagno d’acqua, che a sua volta si congelerà. Il lievito in tale stato può restare mesi ed anni.
Per lo scongelamento porre il lievito e il relativo recipiente a temperatura ambiente per 2 giorni (21 °C) poi lasciarlo a riposo per un altro giorno intero in maniera che finisca di lievitare.

Abbiamo un buon Lievito Madre?
Se la pasta avrà un aspetto bianco, con poca crosta e con gusto di millefiori dove tuttavia prevale un retrogusto finale di miele; se, quando si apre, il Lievito Naturale avrà acidità pungente e sarà soffice e con alveoli allungati, allora la risposta è: sì!!

Si possono definire alcune caratteristiche per indicare la qualità del Lievito Naturale:
MATURO: Sapore leggermente acido, pasta bianca soffice, con alveoli allungati, pH 5;
TROPPO FORTE: Sapore acido-amaro, colore grigiastro e con alveoli rotondi, pH 3-4;
TROPPO DEBOLE: Sapore acido dolciastro, colore bianco, pasta scarsamente alveolata, pH 6-7;
INACIDITO: Sapore di acido acetico, odore formaggioso (per la presenza di acido butirrico), colore grigiastro, pasta vischiosa, pH, molto basso, uguale a 3.

Il Lievito Madre si può correggere
Se il lievito è troppo forte è necessario tagliarlo a fette e metterlo a bagno d’acqua (21 °C) con 2 g di zucchero per litro d’acqua. Lasciarlo a bagno per 30 minuti, poi rinfrescare il lievito con le seguenti dosi: 1 di lievito, 2 di farina, 1 di acqua.
Procedere a rinfreschi successivi finché il lievito non viene a galla in tre ore.

Se il lievito è troppo debole occorre rinfrescarlo con le seguenti dosi: 1 di lievito, 0,75 di farina, 0,40 di acqua e 3 g di zucchero.
Procedere a rinfreschi successivi finché il lievito non viene a galla in tre ore.

Infine: se il lievito è inacidito occorre rinfrescarlo con le seguenti dosi: 1 di lievito, 2 di farina, 1 di acqua, 0,1 di tuorlo d’uovo, 3 g di zucchero.
Procedere a rinfreschi successivi finché il lievito non viene a galla in tre ore. 

venerdì 12 aprile 2013

Da noi solo il migliore bestiame



CATEGORIE BOVINE

I bovini si possono classificare in diverse categorie, ovvero:
Vitello: bovino (maschio o femmina) alimentato con latte e farine di cereali. L'ingrasso  si distingue per una finitura dei capi per un periodo di circa 6-8 mesi (massimo), portandoli ad un peso medio di 250 Kg (peso vivo).

Vitellone:: bovino maschio allevato per circa 20 mesi, raggiungendo circa 600 kg a peso vivo.

Manzetta/Scottona: bovino femmina che non ha mai sostenuto una gravidanza, allevata per 16-18 mesi fino al raggiungimento di un peso medio di 600 Kg da vivo. Vengono nutrite con foraggi e farine di varia estrazione; un'alimentazione ricca di proteine, sali minerali e vitamine.

Bue: bovino maschio castrato nella prima età (da vitello). E’ noto come questa operazione provochi un radicale cambiamento nella fisiologia degli animali, che nel tempo comporta anche modifiche alla struttura muscolare migliorandone la qualità.

Vacca: bovino femmina che abbia già partorito, con un'età minima di 24 mesi. Di solito vengono utilizzate per la riproduzione e per la produzione di latte. A seconda della razza, possono raggiungere i 7 anni di età ed un peso medio di 700Kg vivo. Tendenzialmente, carne di bassa qualità destinata all'industria conserviera o salumifici.

Toro: bovino maschio adibito alla monta. A seconda della razza, possono raggiungere pesi compresi tra i 800Kg ed i 1200 Kg. Questo bovino non possiede una spiccata qualità della carne, in quanto possiede carni molto magre, nervose e consistenti fibre muscolari; quindi a fine carriera viene pressoché destinato all'industria conserviera o ai salumifici


Conoscere tutti i nostri tagli migliori


Conoscere tutti i nostri tagli migliori

IL QUARTO ANTERIORE

IL QUARTO POSTERIORE

Le parti del quarto anteriore, genericamente, si differenziano dalle altre da una maggiore presenza di fibre muscolari spesse, di grasso e di tessuto connettivo (nervi) più marcati. Talvolta, queste caratteristiche obbligano ad effettuare cotture prolungate. Il quarto posteriore si differenzia per i tagli carnei, che presentano fasce muscolari più fini e dalla minima presenza di nervi all'interno degli stessi. Le parti anatomiche ricavate dal posteriore necessitano, generalmente, di cotture brevi.

Lombata o Roast Beef                                                                E' uno dei tagli più teneri per la bistecca ed è ottima. Ottime per cotture alla griglia, a grosse fette con l'osso (costate e fiorentine).  
2 FilettoOttimo alla griglia o alla piastra, ma si può gustare anche crudo (tartare al coltello).
3Scamone e Codone   Speciale come carne alla griglia, si distingue per tenerezza elevata.
4Girello o MagatelloSi può utilizzare per arrosti, bolliti, brasati, scaloppine.
5Fesa Esterna o Sottofesa  Ottima per arrosti, umidi, ma anche per scaloppine
6Noce o RosaConsigliato per scaloppine, bistecche, ma anche per stracotti, arrosti e brasati di categoria.
7Fesa Interna o FranceseEccezionale per bistecche o tagliate da gustare al sangue.Le fasce  esterne (“brutte, ma buone”) si possono utilizzare per gustosi umidi, brasati 
8 Pesce o CampanelloAdatto per arrosti, brasati ed umidi. Se ben lavorato, si possono ottenere anche tranci per tagliata o bistecche per ogni utilizzo.
9Geretto Posteriore Si presta a pietanze molto saporite, dalle cotture lunghe: arrosti, stufati, stracotti e ossi buchi
10 PanciaConsigliato per stufati, spezzatini, bollito e ragù più magri.
11Fesa di spallaSi possono ottenere tenere fettine o utilizzare il pezzo per arrosti, bolliti e stracotti magri.
12Cappello del preteUna parte caratterizzata dalla presenza di venature di grasso e nervo, che renderanno i vostri stufati, brasati e arrosti sublimi.
13Girello di spalla o FuselloSi può utilizzare per fettine, arrosti, brasati o stracotti magri.
14Quadro del biancostatoSi consiglia l'utilizzo per arrosti e stufati, spezzatini, ma anche bolliti con l'osso.
15Copertina di spallaOttimo per spezzatini, umidi, brasati. Se ben gestita eccezionale per la griglia.
16Geretto anterioreSi può utilizzare per bolliti e ossibuchi.
17Coste della Croce o Costate di RealeSi possono ottenere delle costate “brutte, ma buone” da fare alla brace, ma ottimo anche per bolliti, brasati e stracotti.
18PettoSi può utilizzare per bolliti, ma anche per spezzatini, arrosti o ragù.
19ColloConsigliato per spezzatini, brasati, stracotti, ma anche ragù molto saporiti.

mercoledì 10 aprile 2013

Pizza di scarole - Ricetta napoletana

La pizza di scarole è una pizza rustica tipica della cucina napoletana. La ricetta prevede che la pizza di scarole abbia un ripieno di scarola saltata in padella con olio, aglio, olive nere, pinoli e acciughe sotto sale.


Ecco la ricetta dell'impasto e del condimento della pizza di scarole:
Per l'impasto: 400 gr di farina, 200 ml di acqua, 15 gr di lievito di birra, 1 cucchiaio d'olio d'oliva, 1 cucchiaino di sale fino.
Per il ripieno: 2 scarole, 2-3 cucchiaio d'olio d'oliva, 1 spicchio d'aglio, 1 cucchiaio di uvetta sultanina,  1 cucchiaio di pinoli, 1 cucchiaio di capperi dissalati, 5-6 filetti di acciughe, 50 gr di olive nere denocciolate, sale q.b
Sciogliere il lievito nell'acqua leggermente intiepidita. Mescolare la farina con il sale ed aggiungere l'acqua impastando il tutto fino ad ottenere un'impasto omogeneo. Sbattere la pasta della pizza per un pio di volte sulla spianatoia.
Dividere l'impasto in due pezzi, spolverarli di farina e lasciarli riposare per un paio d'ore coperti da un panno pulito. 
Passare alla preparazione delle scarole.
Lavare per bene le scarole e pulirle. Riempire una pentola d'acqua e portarla al bollore con un pizzico di sale. Sbollentare le scarole per un paio di minuti, poi scolarle fino a fargli perdere tutta l'acqua.
Scaldare due cucchiaio d'olio in padella, aggiungere l'aglio e poi le acciughe.
Passare le scarole in padella unendo a metà cottura l'uvetta, i pinoli le olive nere denocciolate e i capperi dissalati. Regolare di sale e la scarola è pronta.
Prendere i due pezzi d'impasto, stendere il primo pezzo e metterlo in una teglia unta con un filo d'olio.
Distribuire le scarole sul pezzo di piazza messo , poi stendere l'altro pezzo di pasta e ricoprire il tutto e chiudere la pizza facendo attaccare i due pezzi di pizza utilizzando le dita della mano o i rebbi di una frochetta.
Sbattere un tuorlo d'uovo con un goccio di latte e spennellare la superficie della pizza di scarole. Prendere una forchetta o un bastoncino di legno e bucherellarle la superficie.
Adesso asciate riposare questa pizza per circa 30 minti e intanto fate riscaldare per bene il forno a 190°C. Infornare e far cuocere per circa 35-40 minuti...e la pizza di scarole e pronta.

lunedì 8 aprile 2013

"L’arrosto" come cucinarlo secondo me


Prima di tutto vi consigliamo se fate un arrosto di farlo in grande, cioè se arrostite un pezzo di carne, fate in modo che il suo peso sia almeno un kg., mentre se arrostite un pollo, o un coniglio, oppure un cosciotto di agnello prendete il più grande tra quelli disponibili. La ragione principale è perché il risultato sarà migliore dal punto di vista del sapore, poi gli arrosti sono ottimi anche nei giorni successivi: quelli più grassi si riscaldano perfettamente nel microonde, mentre con quelli magri, tipo il roasbeef, potete preparare degli ottimi sandwich o piatti freddi. Ultima ragione, arrostire richiede un certo consumo di energia, che non vale al pena di usare per un arrostino di 400 g. o per un polletto da 900 g.
Veniamo ora al come fare l’arrosto vero e proprio. Dopo anni di esperienze, di esperimenti con le ricette di famiglia, con quelle lette in libri e riviste, possiamo dirvi che quello che propone Nigella Lawson nei suoi libri è il meglio. Ve lo riassumiamo.
Preparate il vostro pezzo di carne o di pollame da cuocere, legato se è il caso, e condito all’interno per il pollame (in questo caso consigliamo di metterci dentro anche un limone o un arancio punzecchiato con la forchetta).
Scegliete una teglia di misura per il vostro pezzo di carne, e questo è veramente importante.
Salate, pepate e massaggiate con poco olio il pezzo di carne.
Cuocetelo nel forno molto caldo all’inizio, e successivamente riducete la temperatura. Vi riportiamo i tempi suggerite dalla nota gastronoma e food writer inglese, anche se personalmente per adeguarci ai gusti italiani di solito prolunghiamo un pochino la cottura.
TIpo carneTemperatura inizialeDopo 15 minutiminuti per 500 g.
Vitellone250180al sangue 20
medio 25
ben cotto 30
pollo20020020 + 30 iniziali
agnello250200al sangue 15
medio 180
ben cotto 25
maiale20018030
vitello21018020
Vi avvertiamo che la teglia, e a volte anche il forno, alla fine richiederanno un minimo impegno per la ripulitura (ma questo dipende molto dalla dimensione della teglia, se è larga ci saranno più problemi).
Con questo procedimento alla fine non avrete il sughetto con cui accompagnare l’arrosto, ed il piatto sarà decisamente ipocalorico. Se fatto così il vostro arrosto vi sembra nudo, potete o preparare un sughetto per l’arrosto ad hoc senza usare i grassi più o meno bruciati prodotti durante la sua cottura, oppure portare in tavola delle salse, per esempio delle raffinate senapi aromatizzate.

domenica 7 aprile 2013

La Genovese (Napoletana!!!!!!!)





La Genovese (Napoletana!!!!!!!)

La salsa genovese (a' genuvese come la chiamiamo a Napoli) è un vanto della cucina napoletana, anche se il nome lascia intender ben altro.

Ho fatto un pò di ricerche su vecchi testi di cucina napoletana e diverse sono le ipotesi circa l'origine del nome, anche se la più accreditata la fa risalire ad alcune osterie insediatesi nell'area del porto di Napoli nel periodo aragonese (XV secolo) e gestite appunto da cuochi provenienti da Genova, i quali erano soliti cucinare la carne in modo da ricavarne una salsa utile poi per condire la pasta (ancora oggi esiste a Genova un modo di cucinare la carne tagliata a grossi pezzi insieme a carota, sedano e cipolla detta "u Tuccu").
Va comunque detto che nei ricettari della corte borbonica (Corradi, Cavalcanti) col termine genovese veniva indicata una salsa più semplice e che quindi, presumibilmente, solo nella seconda metà dell'Ottocento la ricetta abbia assunto la sua versione attuale e, diremmo, napoletana.
Per completezza va detto che altre fonti storiche fanno risalire la ricetta ai marinai della "Superba" che sbarcavano a Napoli nel XVIII secolo portando con se anche le loro abitudini alimentari.


Ma veniamo ora alla preparazione di questa ricetta definita da alcuni la regina della gastronomia partenopea (il re è ovviamente il ragù)


Qui riporto la mia ricetta.

Per 6 persone:
- 1 Kg di carne di manzo, primo taglio oppure lacerto
- 1 dl di olio
- 50 g di lardo
- 100 gr. di salame e prosciutto (il gambo, la parte finale)
- 2 carote
- 1 pezzetto di sedano
- 1,5 Kg di cipolle
- 2-3 pomodorini
- prezzemolo
- un bicchiere di vino bianco secco
- sale e pepe


Tritare finemente il lardo, le cipolle, il sedano, le carote ed il prezzemolo. Tagliare a dadini il salame ed il prosciutto.
Mettere la carne in una casseruola (la tradizione vuole che sia un tegame di coccio, o’ tiano) insieme al trito di verdure, i dadini di salame e prosciutto, l'olio, il pomodoro, il sale ed il pepe.
Coprire e far cuocere a fuoco molto lento, rimestando di tanto in tanto.
Dopo circa 90 minuti le verdure saranno cotte, quindi alzare la fiamma per far rosolare la carne e le verdure. Quando saranno rosolate, aggiungere il vino a più riprese e far sfumare.
Far completare la cottura della carne, aggiungendo ogni tanto un pò d'acqua se necessario. Il tutto deve cuocere almeno tre ore e bisogna controllare di tanto in tanto che carne e cipolle non si attacchino al fondo.


A Napoli si condiscono con questa salsa i maccheroni della zita (ziti spezzati a mano) oppure i mezzani. In mancanza di tali tipi di maccheroni, si può usare una pasta corta che tiene bene la cottura. Chi lo gradisce, può spolverare il piatto con un pò di formaggio.
La carne tagliata a fette e condita col resto del sugo è l'ottimo secondo da servire magari con un'insalatina.


Annotazioni e varianti
- come grasso di condimento in alcune varianti della ricetta si trova oltre al lardo ed all'olio anche il burro (50 g. per chi ne apprezza il gusto). Anche il lardo si può omettere si si vuole avere un piatto più leggero e dietetico.
- per quanto riguarda le cipolle in genere per una parte di carne vanno usate 1,5 parti di cipolle. Alcune varianti riportano cipolle e carne in parti uguali, altre addirittura il doppio delle cipolle.
- Per la cottura, solo l'esperienza aiuterà a capire il momento giusto; come aiuto si può però dire che bisogna osservare due cose, la carne e la crema di cipolla: la carne deve essere ovviamente cotta, le cipolle devono assumere una consistenza cremosa, quasi vellutata ed un colore marroncino-ambrato.
- Per la carne: se volete un ottimo sugo, mettete la carne e tutti gli ingredienti insieme e fateli cuocere lentamente, in questo modo la carne rilascerà i suoi succhi rendendo la salsa più gustosa; per non avere una carne dura, bisogna cuocere però più a lungo e lentamente. Se invece volete una buona carne da mangiare come secondo, fate soffriggere prima la carne nell'olio e poi aggiungete il trito di verdure, in questo modo sigilleremo i succhi al suo interno, avendo una carne morbida e saporita.
- Per chi ha problemi con le cipolle, può tagliarle a fettine sottili e metterle in una pentola con un due bicchieri d'acqua, far bollire l'acqua per un minuto e poi buttare l'acqua e procedere poi normalmente con la ricetta come indicato.
- Se non si dispone dei pomodorini, si possono sostituire con un pomodoro pelato (uno solo) oppure con un cucchiaino di conserva di pomodoro.
- Per ottenere più rapidamente una salsa cremosa invece di tritare a mano le vedure, si può usare un tritacarne. Oppure a metà cottura si possono frullare col minipimer - ma un tradizionalista non lo farebbe mai - le verdure direttamente nella casseruola (dopo aver rimosso temporaneamente la carne)
- Per insaporire la salsa abbiamo detto che si usano prosciutto e salame: questi possono essere ottenuti dal salumiere chiedendo i cosidetti "resti di banco", sono le parti finali dei salumi, vengono venduti a poco prezzo, ma sono ideali per questa ricetta.
- Esiste una variante più povera e veloce della genovese, in cui non si usa la carne, ma solo il gambetto di prosciutto ed i salumi e poi si procede quasi allo stesso modo, adattando ovviamente i tempi di cottura.